Frascati

Scheda tecnica

Frascati

Frascati
di F. Lazzari

 

Data istituzione Monte di pietà: 1566 e 1736
Fondatore : vescovo Alessandro Farnese e privati Cittadini

Scheda storica

Nel 1566, con l’autorizzazione del vescovo Farnese, venne aperto a Frascati il Monte di pietà per aiutare i poveri a superare i loro momenti critici, senza rinunciare definitivamente a gioielli e beni mobili. L’amministrazione del Monte era sotto la scrupolosa vigilanza dei vescovi pro-tempore. Il Monte di pietà ha soddisfatto nel tempo, oltre che i bisogni degli abitanti di Frascati, anche quelli degli altri paesi della diocesi: Monteporzio, Montecompatri, Colonna, Rocca Priora, Rocca di Papa e anche quelli di Marino.

Nella relazione di una visita pastorale, 5 aprile 1590, del cardinale Ignazio D’Avalos y de Aragona, vescovo di Frascati dal 1589 al 1591, si legge dello stato della diocesi: a Monteporzio, esisteva un diritto della famiglia Borghese, gli abitanti erano pochi e poveri; Montecompatri era senza guida spirituale; a Rocca Priora e Rocca di Papa non vi era nemmeno la presenza di un curato. Venne, inoltre, registrata la presenza del Monte di pietà, dei francescani osservanti e la costituzione di una nuova confraternita, detta della Carità, che aveva lo scopo di raccogliere elemosine da distribuire ai poveri.

Da alcune relazioni concernenti le visite pastorali del vescovo Tolomeo Galli o Gallo, vescovo dal 1591 al 1600, sappiamo che il Monte funzionava attivamente ancora alla fine del Cinquecento con un capitale istituzionale di 130 scudi. I primi due resoconti, datati 1592 e 1595, ci permettono di conoscere oltre al numero degli abitanti della diocesi anche il diffuso stato di povertà della popolazione. Frascati contava 2.500 abitanti, Rocca di Papa 1.100 con tre chiese dal reddito talmente basso, che unificate non superavano i 20 scudi. A Montecompatri gli abitanti erano 700, con una chiesa parrocchiale non ben precisata così come quella di Monteporzio dove vivevano 200 persone. Rocca Priora faceva registrare anch’essa 700 anime mentre a Colonna gli abitanti erano 250. Solo due anni più tardi, però, come si evince dalla relazione del 1597, la situazione era notevolmente migliorata. Evidentemente il cardinale aveva preso opportuni provvedimenti, tanto che a tutte le parrocchie era stato assegnato un nome e un curato, e tutte risultavano in buono stato con arredi e suppellettili sacre sufficienti.

Come conseguenza di queste migliorate condizioni economiche vi fu anche la temporanea chiusura del Monte di pietà. Condizioni che dovettero, però, peggiorare ben presto, probabilmente anche per la scomparsa del cardinale Gallo, tanto da determinare la riapertura, da lì a poco, nel 1605, del Monte con un lascito iniziale di 100 scudi. Da questo momento il Monte di pietà funzionerà ininterrottamente fino al 1825.

Nel 1722 il cardinale Francesco del Giudice provvide a far esaminare i libri contabili del Monte di pietà e quelli del Monte frumentario, che sarebbero stati restituiti entro un mese. Il Monte frumentario, in verità, ebbe vita breve, poiché, già nel 1736, il Cardinale Pietro Marcellino Corradini mise in atto la sua liquidazione, poiché non confacente ai bisogni dei contadini che coltivavano le terre a vigne e non a grano. Lo annesse, quindi, al Monte di pietà vescovile dove sui prestiti non si pagavano interessi, mentre presso quello civico si pagava il 3%. Nel 1750 il vescovo Giovanni Antonio Guadagni rilevò che il Monte di pietà era bene amministrato e ben funzionava, ma il capitale non era sufficiente a soddisfare le numerose richieste. Nel 1760, infatti, Il Monte pecuniario risultava avere un fondo cassa di soli tre scudi.

Agli inizi del 1800 un’altra relazione, quella del vescovo Giuseppe Doria Pamphili, ci permette di conoscere che il Monte di pietà civico era in buono stato, mentre l’altro si reggeva solo grazie alle sovvenzioni dei vescovi; già nel 1817, però, il Monte di pietà vescovile e quello retto da donazioni private di alcuni “Benefattori” erano privi di fondi tanto che il cardinale Giulio Maria della Somaglia ne sollecitò il ripristino. Una istanza evidentemente lasciata cadere nel vuoto tanto che, nel 1825, i due Monti risultavano chiusi per mancanza di capitali.

Il Monte di pietà fu, quindi, ripristinato con un chirografo del cardinale Ludovico Micara del 10 settembre 1844 sotto il nome di “Tuscolano”, con un fondo di lire 10.750 che sarebbe aumentato negli anni fino a contare un capitale di quasi cento mila lire nel 1927. Una somma evidentemente non sufficiente a soddisfare le numerose richieste di quella parte di popolazione più bisognosa. Si ricorse, perciò, ad una richiesta di sovvenzione al Monte di pietà di Roma per la somma di centocinquanta mila lire, che venne effettivamente elargita a condizione da utilizzarsi esclusivamente in prestanze su pegni. L’istituto, qualificato come seconda categoria, era allora amministrato dalla locale Congregazione di Carità in forza del Regio Decreto del 8 novembre 1878. Disponeva di un segretario, un tesoriere e un montista stimatore ed apriva i propri uffici due volte la settimana, il giovedì e la domenica mattina. Le prestazioni erano effettuate su pegni “di oggetti d’oro, argento, pietre preziose, perle, rame, tele in pezza o rotolo completo” e non potevano essere inferiori ad una lira e superiori alle mille lire. Erano, comunque, favoriti i prestiti di minore entità con un termine, per tutti, di sei mesi rinnovabile per un massimo di tre anni. I pegni non rinnovati venivano posti all’asta pubblica due volte l’anno: l’ultimo giovedì di gennaio e l’ultimo di luglio. Il Monte di pietà Tuscolano subì, in questo periodo, irregolarità amministrative da parte dei suoi funzionari. Dopo la morte del tesoriere Antonio de Nicola, (1935) si scoprì, infatti, un ammanco di circa 40.000 mila lire che provocò un danno irreparabile impedendo al Monte di fronteggiare le spettanze del Monte di pietà di Roma. Tenendo conto delle precarie condizioni finanziarie1 si decise di incorporare il Monte Tuscolano di Frascati alla Cassa di Risparmio di Roma – che nel frattempo aveva assorbito il Sacro Monte romano – con un’operazione che effettivamente avvenne con decreto del 30/1/1941, lo stesso che per i Monti di Velletri e Veroli.

Note bibliografiche e Riferimenti archivistici

Archivio della Cassa di Risparmio di Roma (CRR), VIII. 4, b. 39, fasc. 225.

CRR, VIII. 4, b. 42, fasc. 244.