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Il DNA antico svela la storia della peste

Dal passato al futuro, sulle tracce del batterio Yersinia pestis per scoprire l’evoluzione genetica della peste e porre le basi di una possibile cura. Le malattie infettive hanno segnato la storia dell’uomo fin dall’antichità con esiti drammatici, soprattutto quando si sono diffuse sotto forma di epidemie, colpendo la popolazione di vaste aree geografiche. Sono ben noti gli effetti devastanti provocati dalla cosiddetta “Peste nera” del XIV secolo, dalla “peste manzoniana” del 1630 e dall’influenza spagnola del 1918. Negli ultimi anni lo sviluppo della paleomicrobiologia molecolare, grazie all’acquisita capacità di identificare, in resti umani antichi, la presenza di specifici patogeni, ha iniziato a fornire preziosi dati di supporto alla conoscenza di queste malattie infettive, della loro evoluzione nel tempo e del rapporto tra il patogeno e l’ospite: ovvero l’uomo.

I numerosi lavori scientifici recentemente pubblicati in questo ambito mostrano che in particolare le ricerche incentrate sulla peste sono tra quelle che hanno suscitato il più vasto interesse, non solo nella comunità scientifica ma anche fra la popolazione. La peste, infatti, sebbene rara nella società contemporanea, è considerata una malattia riemergente.

In questo contesto si colloca il progetto di ricerca coordinato dal professor Stefano Benazzi del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna. Il progetto, sviluppato a Ravenna nei Laboratori di Antropologia fisica e DNA antico, ha avuto l’obiettivo di verificare quanto la Yersinia pestis, il batterio responsabile della peste, fosse presente e diffusa fra il VI e il XVII secolo in Emilia-Romagna. Attraverso la paleomicrobiologia molecolare e l’archeoantropologia sono stati analizzati i resti umani riportati alla luce in tre diverse necropoli, resti che – in base al luogo, al tempo e alla modalità di sepoltura – erano indiziati come probabili vittime del contagio.

Il progetto ha prodotto importanti risultati, innanzitutto nella identificazione genetica di Yersinia pestis, utili nella diagnostica della malattia, non solo su reperti antichi ma anche su campioni moderni. Si è infatti dimostrato che il gene pla finora impiegato per la identificazione genetica della Yersinia pestis non è specie specifico e sono perciò necessari altri marcatori per una rigorosa rivelazione del batterio. Si è quindi proceduto a disegnare nuovi primer (filamenti di acido nucleico, ndr) per il gene pst e si è sviluppato un nuovo protocollo per lo screening di campioni nella identificazione del batterio Yersinia pestis.

I campioni rivelatisi positivi con questo nuovo marcatore sono stati sottoposti a sequenziamento ultramassivo e ad analisi bioinformatiche di metagenomica, ancora in corso, che consentiranno di accertare l’effettiva morte per peste, aprendo la possibilità di condurre indagini filogenetiche del patogeno.

“Vogliamo capire come si è evoluto il batterio e anche come è cambiata nei secoli la risposta della specie umana alla Yersinia pestis – spiega il professor Benazzi –. Confrontare il batterio presente nei resti antichi con il batterio attuale potrebbe inoltre portare a individuare i modi per contrastarne oggi la diffusione”.

Il progetto è stato tra i 7 protagonisti dell’incontro pubblico Finanziare la ricerca per la salute. Il contributo della Fondazione del Monte che si è svolto sabato 3 marzo nella sala dello Stabat Mater alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna (piazza Galvani 1).

Responsabile: Stefano Benazzi 1
Gruppo di ricerca: Elisabetta Cilli2 , Antonino Vazzana2 , Giulio Catalano2 , Donata Luiselli2-3, Sabrina Angelini4, Giorgio Gruppioni2

1 Dipartimento di Beni Culturali, Università di Bologna

2 Laboratori di Antropologia Fisica e DNA antico, Dipartimento di Beni culturali, Università di Bologna

3 Laboratorio di Antropologia Molecolare, Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali, Università di Bologna

4 Laboratorio di Farmacogenetica e Farmacogenomica, Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, Università di Bologna