Skip to content

Il processo Eichmann – VOCI 2021

Il 2 giugno 2021 dalle ore 10 alle ore 20 sarà fruibile in Piazza San Francesco l’installazione Il processo Eichmann – Figure di un processo. Installazione per una piazza che conclude il progetto VOCI.

L’installazione potrà essere agita dal pubblico, che farà accesso nella piazza a piccoli gruppi distanziati, attraversandola e sostandoci dentro. Le scene sono di Irene Ferrari e le grafiche a cura di Simone Tacconelli. Allo spettatore saranno fornite cuffie wireless per immergersi nelle musiche originali composte dagli studenti della Scuola di Musica applicata del Conservatorio G.B. Martini a cura di Aurelio Zarrelli.

L’installazione, parte di Bologna Estate 2021, conclude il progetto VOCI, diretto da Luca Alessandrini e Paolo Billi, che pone al centro delle sue attività l’incontro tra generazioni diverse, all’interno di un percorso interdisciplinare formato da tanti laboratori di storia, scrittura, arte, musica e teatro. I contenuti del progetto riguardano temi fondamentali della storia del ‘900, per realizzare percorsi partecipati di “memoria attiva”. L’obiettivo è contrastare i pregiudizi e le retoriche, che tendono a ossificare, banalizzare o finalizzare la memoria.

Il tema di VOCI 2021 è il processo Eichmann, del quale ricorre il sessantesimo anniversario. Il processo fu di gran lunga il più importante celebrato contro un criminale nazista dopo quello di Norimberga, che si era svolto quindici anni prima e che aveva sottoposto a giudizio i principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale.

Il processo Eichmann è significativo per diversi motivi e per la sua portata nel mondo, nel mondo ebraico, in Israele, a partire dalle modalità stesse della cattura che, da una parte hanno posto la questione giuridica di un rapimento da parte dei servizi segreti israeliani in luogo di una estradizione la quale, tuttavia, non era prevista. Ma anche perché rilevava che l’America latina era stata ed era ancora rifugio di tanti nazisti che erano stati aiutati a giungervi e che godevano di tante, troppe coperture.

Ma il peso maggiore lo ebbe la mobilitazione dei testimoni, 112 sopravvissuti che deposero, aprendo una nuova fase nella storia della conoscenza della Shoah e mutando di segno il rapporto dello Stato di Israele con lo sterminio degli ebrei e gli stessi fondamenti della comunità nazionale.

Un’altra enorme questione, la più importante e densa di significati, riguardò la figura del persecutore, quell’Eichmann che personificava il male. È nota la definizione di Hannah Arendt, l’intellettuale ebrea tedesca che seguì il processo come corrispondete del “New Yorker”, di “banalità del male”. Arendt aveva letto in Eichmann «l’assenza di pensiero» quale incapacità di coscienza e dunque di responsabilità, esito dell’ideologia totalitaria, per ricavarne «la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male».

Se la posizione di Arendt trovò fieri oppositori in chi voleva leggere la soggettività diabolica del criminale, essa rendeva leggibile tanto la natura del totalitarismo fascista, tema sul quale si era già espressa in un suo noto libro, quanto il carattere di genocidio di Stato, industriale e burocratico, della Shoah. Dopo la ponderosa riflessione di Arendt del 1963, gli studi si sono sviluppati attraverso nuove conoscenze e nuove tesi interpretative, che disvelano non solo una burocrazia esecutrice, ma anche una piena e “volonterosa” adesione all’ideologia antisemita e una convinta disponibilità a renderla esecutiva.