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Un patrimonio diffuso da salvare

Si è avviato il nuovo ciclo di restauri di opere recuperate dal territorio, parte del progetto della Fondazione del Monte “Sostegno ai saperi e alle tecniche artistiche”, avviato nel 2012. Siamo giunti al secondo triennio e in queste settimane sono cominciati i lavori relativi al secondo e terzo anno.

Lo stanziamento della Fondazione per riportare alla luce dipinti dimenticati è di circa 50 mila euro l’anno e fino ad ora si sono conclusi i lavori su una trentina di opere. L’idea è nata dalla presa d’atto dell’esaurirsi dei finanziamenti per la cura delle opere d’arte diffuse sul territorio da parte del Ministero dei Beni Culturali, che riserva gli interventi ai grandi musei e gallerie nazionali.

A coordinare il progetto per la Fondazione, come responsabile scientifico, è Angelo Mazza, storico dell’arte e Ispettore onorario del Ministero dei Beni Culturali. “C’è un patrimonio dimenticato da tutti, perché sconosciuto o trascurato. Soprattutto nell’area appenninica, nei piccoli centri, quasi disabitati, in chiese che magari vengono chiuse… Il territorio nasconde ancora molte cose, il vero problema è conservarle”. Gli obiettivi del progetto della Fondazione sono duplici, come spiega Mazza: “Vogliamo dare un segnale, recuperando opere dimenticate e in condizioni difficili, ma anche salvando le tecniche di restauro. Molti laboratori di restauratori anziani si chiudono senza trasmettere il sapere ad altri, perché i giovani non riescono più a trovare lavoro sufficiente per sostenere una bottega. Non c’è più la commessa da parte degli enti pubblici, che assicurava un minimo di sopravvivenza ai laboratori”.

Le opere restaurate, per lo più provenienti come detto dall’Appennino, risalgono quasi sempre al Seicento – Settecento, con qualche eccezione dei primi dell’Ottocento. Nel corso del primo triennio con grande soddisfazione il progetto ricostruì la storia di una pala, di cui si era persa memoria, conservata senza più attribuzione in deposito presso la Pinacoteca di Bologna. Grazie ad una foto trovata in un cassetto dell’Ufficio catalogo della Soprintendenza, si è riusciti a rintracciarne la provenienza.
E’ una “Madonna del Carmine” di Michele Desubleo, pittore fiammingo allievo di Guido Reni, che operò in Italia nel Seicento. Prima della seconda Guerra Mondiale il quadro era nella chiesa del Rosario, a Massa Lombarda. La chiesa venne bombardata, alcuni quadri andarono distrutti e l’opera di Desubleo fu portata a Bologna per un restauro e poi dimenticata per 70 anni. Ora, dopo il restauro, è tornata a Massa Lombarda.

Tra il 2012 e il 2014 sono stati restaurati 27 dipinti, impiegando 13 laboratori di restauro e consolidando un proficuo rapporto con la Soprintendenza ai Beni Culturali.

Per l’ultima fase del progetto, sono state scelte dodici opere, sconosciute o quasi. Angelo Mazza ha coordinato la selezione: “Abbiamo preso in esame per esempio un dipinto di Bartolomeo Cesi (Bologna, 1556 – Bologna, 1629), che si trova nella Chiesa di Santa Maria della Scaletta a Imola. L’abbiamo affidato al laboratorio di Elisa Stefanini. Non è in condizioni disastrose, ma necessita di un restauro che ne valorizzi la lettura, avvilita da ossidazioni e ridipinture. Era un dipinto considerato degli ultimi anni del 700 o anche dei primi dell’800. In realtà è un’opera di Cesi, descritta in un taccuino dallo stesso artista che dice di aver eseguito quest’opera per un medico di Imola”.
La restauratrice Cornelia Prassler interverrà invece su due piccoli dipinti. Uno di questi è pieno di lacerazioni. E’ “La predica di un Santo”, probabilmente San Paolo. L’autore potrebbe essere Girolamo Negri detto il Boccia, che operò alla fine del 600.  E’ un quadro in condizioni pessime, che proviene dal convento dei Cappuccini di Porretta. Dello stesso autore un dipinto su tavola di piccolo formato, “Padre eterno benedicente”, trovato nella soffitta della canonica a Quarto inferiore.
Ad essere restaurato anche l’olio su tela che proviene dalla Chiesa di San Martino a Medesano di Medicina firmato da Anna Maria Sirani, sorella della famosa Elisabetta. “E’ l’unica opera documentata di questa pittrice. L’ossidazione l’aveva resa quasi illeggibile”. Un restauro necessario, che aggiunge un tassello allo studio della scuola bolognese seicentesca che fu anche una straordinaria officina di artiste donne.

Nelle immagini, l’opera di Michele Desubleo, durante il restauro